sabato 10 settembre 2011

Breve Storia del Cinema Italiano - 10

Il neorealismo rosa e la commedia all’italiana

Le ragazze di San Frediano (1954), di Valerio Zurlini

Non è facile definire la commedia. Possiamo dire che è quel genere cinematografico e teatrale che più assomiglia alla vita. Fa piangere e preoccupa per un breve istante, fa ridere ma non a quattro ganasce, in ogni caso fa riflettere. Al cinema, se parliamo di commedia, è sempre qualcosa che sta a metà tra il film drammatico e il comico puro, in ogni caso gli elementi comici prevalgono su quelli drammatici. Va da sé che niente vieta che in un film drammatico contenga scene comiche e viceversa, quel che conta è che il tenore di fondo sia rispettato.

Domenica d'agosto (1950), di Luciano Emmer

La commedia all’italiana è qualcosa di più specifico rispetto alla commedia tout court, perché rende minima la distanza tra comico e tragico. Un film comico puro è la farsa, cinema senza pretese che racconta eventi surreali, cose che non possono accadere nella realtà, con la sola intenzione di far sorridere. La commedia all’italiana presenta elementi drammatici in misura superiore rispetto alla media delle normali commedie e non è obbligatorio che abbia un lieto fine. Gli equivoci sono il sale della commedia all’italiana, situazioni che innescano il meccanismo comico e mettono in luce le contraddizioni. Nella commedia all’italiana il personaggio spesso commenta gli eventi parlando con se stesso, si rivela allo spettatore e diventa il filo conduttore di un discorso sociale. La commedia all’italiana rappresenta la vita ed è figlia del neorealismo perché racconta la società contemporanea e i conflitti individuali. Il protagonista è solo contro tutti e combatte una battaglia che lo vede sicuro perdente.


La definizione commedia all’italiana nasce come locuzione dispregiativa coniata dalla critica colta, ma viene conservata con ben altro significato. Le commedie realizzate dal 1958 al 1980 da autori come Age, Scarpelli, Monicelli, Risi, Comencini, Germi, Scola e interpretate da attori come Gassman, Tognazzi, Manfredi e Sordi rientrano a pieno titolo nella definizione. I soliti ignoti è il film che fa da spartiacque tra il cosiddetto neorealismo rosa e la commedia all’italiana, che si distingue per una maggiore attenzione alla realtà sociale e per una drammaticità più presente.

Un mio libro sulla commedia sexy (Mediane)

La commedia all’italiana ha antecedenti letterari importanti. Possiamo trovare elementi di anticipazione nel teatro greco e latino (Menandro e Plauto), nella commedia dell’arte, nel teatro comico rinascimentale, nella commedia realistica di costume, nell’opera buffa, nella commedia borghese e nel teatro verista. Il teatro di varietà, l’avanspettacolo e le riviste umoristiche sono antenati meno nobili, ma non meno importanti. I maggiori interpreti della commedia all’italiana provengono dall’avanspettacolo. Manfredi, Sordi e Tognazzi, ma anche Totò, Walter Chiari, Aldo Fabrizi, Erminio Macario sono attori di teatro. Lo stile comico - grottesco della commedia all’italiana deriva dal varietà e ha come antesignano la macchietta satirica inventata da Nicola Maldacea, il trasformismo di Leopoldo Fregoli e il teatro dell’arte di Ettore Petrolini. La commedia all’italiana è in bilico tra umorismo e tragedia come il teatro popolare che fa della satira e dell’inventiva brillante le sue armi migliori. La commedia all’italiana nasce anche dalla pesante eredità di riviste umoristiche come Marc’Aurelio e Bertoldo, che annoveravano tra i loro collaboratori Fellini, Age, Scarpelli, Zavattini, Monicelli e Scola. Per non parlare di scrittori brillanti come Achille Campanile, Carlo Manzoni, Giovanni Mosca, Vittorio Metz e Giuseppe Marotta.

Un americano a Roma (1954), di Steno

La commedia all’italiana nasce dalle ceneri del varietà teatrale, ne raccoglie l’eredità e trasporta il cinema italiano dall’era dei telefoni bianchi, passando per il neorealismo rosa, fino alla stagione delle commedie sociali e antiborghesi. Nel periodo fascista, la commedia non è mai realistica fino in fondo, ma può solo raccontare piccole cose del quotidiano che non fanno male. Il cinema dei telefoni bianchi produce pellicole innocue che raccontano scampagnate e gite al mare, ma non si va oltre. Il neorealismo del primo dopoguerra consegna alla storia del cinema alcune pellicole impegnate di non grande presa popolare perché complesse e poco allettanti. In questo periodo si girano soltanto commedie di basso profilo, film dichiaratamente farseschi  e senza ambizioni. I registi pensano che per cambiare la società e trasmettere idee nuove non si possa usare la commedia.

 I soliti ignoti (1958), di Mario Monicelli

La commedia all’italiana si sviluppa alla fine del neorealismo, partendo da certe acquisizioni come l’osservazione della realtà, l’uso del dialetto e l’alternarsi di dramma e comicità. Marco Ferreri ha detto che la commedia è il neorealismo riveduto e corretto per mandare la gente al cinema. Non ha tutti i torti. 


In Italia il realismo magico non funziona, a parte l’eccezione del poetico Miracolo a Milano, ma in compenso ottiene un grande successo di pubblico il neorealismo rosa che attraversa tutti gli anni Cinquanta, sino alla svolta de I soliti ignoti. Sono i film delle serie Pane e amore e Poveri ma belli (1956) che affascinano un pubblico ancora ingenuo alla ricerca di una commedia paesana popolare piena di buoni sentimenti e di gioia di vivere. Luigi Comencini (su soggetto di Ettore G. Margadonna) inventa il genere con il fortunato Pane amore e fantasia (1953), interpretato da un grande Vittorio De Sica che realizza la caratterizzazione del maresciallo Carotenuto.


A questo fortunato film succedono Pane, amore e gelosia (1954) sempre di Comencini e Pane, amore e… (1955) di Dino Risi. Poveri ma belli (1956) di Dino Risi produce due sequel con Belle ma povere (1957) e Poveri milionari (1959). Un cinema così non può durare, così come non hanno vita lunga le commedie balneari, turistiche, calcistiche e giudiziarie, perché sono lavori che restano in superficie.


Gli unici tentativi di satira politica cinematografica provengono dal filone di Don Camillo, anche se la dicotomia Gino Cervi (comunista) e Fernandel (cattolico) è molto annacquata. La vera e propria satira di costume nel cinema comincia con Alberto Sordi, un grande attore che si fa le ossa nell’avanspettacolo e nel doppiaggio, ma che inventa i migliori personaggi per la radio. La caratterizzazione che Sordi porta sul grande schermo è quella di un italiano quasi totalmente negativo, senza sentimenti, poco simpatico, meschino, ipocrita, fanfarone, mammone, esterofilo, una vera accozzaglia di difetti.

Fernadel e Gino Cervi

Negli anni Cinquanta Sordi interpreta commedie originali del neorealismo rosa, ma non ancora vera commedia all’italiana. Si tratta sempre di commedie tranquillizzanti, i poveri sono belli e felici, tutti gli italiani sono brava gente. Nasce la commedia all’italiana non appena i registi mettono in scena il vero volto dell’italiano medio, al di là del perbenismo ufficiale. In ogni caso senza il neorealismo rosa non sarebbe esistita la commedia all’italiana, perché i vecchi schemi narrativi devono esistere per essere superati. Non ci sarebbe stata la commedia all’italiana senza un attore - autore come Alberto Sordi che trasforma un personaggio e lo rende più maturo e complesso. Il suo italiano medio viene ben definito e messo al passo con i tempi, non è soltanto una caratterizzazione comica, ma la realtà contemporanea trasportata in storie cinematografiche.

Alberto Sordi

La commedia all’italiana si sviluppa con il primo calo elettorale democristiano, dopo la morte di Pio XII che aveva scomunicato i comunisti, durante il boom economico, contemporaneamente alla diffusione della televisione, in pieno consumismo, tra elettrodomestici e automobili alla portata di tutti, alla fine di avanspettacolo e riviste umoristiche, con l’attenuarsi della censura, per merito di registi, sceneggiatori e attori di grande livello. La commedia all’italiana mette in scena storie cittadine, anche senza lieto fine, critiche nei confronti della società e finalizzate a descrivere il conflitto tra l’individuo e la realtà contemporanea. Alberto Sordi è uno degli interpreti più convincenti di questi meccanismi narrativi, sia durante il boom economico che nelle commedie del dopo boom e del ripensamento, durante il periodo 1958 - 1980. Sono commedie che nascono con l’illusoria ricchezza degli italiani, il sogno del reddito medio elevato per tutti, l’ondata di euforia e di consumismo. Proliferano commedie tristi e disincantate in piena crisi, quando ci si rende conto che la ricchezza non sarà per tutti, ma solo per chi ne ha saputo approfittare.


La commedia all’italiana comincia da I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, vero padre del genere e grande continuatore. Non per niente Alberto Sordi interpreta La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, un capolavoro che Vincenzoni, Age, Scarpelli e lo stesso regista ricavano da Due amici di Guy De Maupassant. Alberto Sordi caratterizza la figura del soldato Oreste Jacovacci, un vigliacco che finisce al fronte insieme all’amico Giovanni Busacca (Vittorio Gassman). Non c’è traccia di patriottismo in questa pellicola, dove due italiani medi cercano di sfuggire i pericoli della guerra, vengono catturati dagli austriaci e finiscono per morire da eroi, come non hanno mai vissuto. “Non voglio morire… sono un vigliacco!”, grida Sordi davanti al plotone di esecuzione. Una pellicola dissacrante su un tema fino a quel momento intoccabile, che demolisce la retorica nazionalistica e punta il dito sui massacri della grande guerra.


Sordi è ancora una volta premiato con il Nastro d’argento per la caratterizzazione geniale di un italiano medio che non cova nessun mito patriottico e nessuna ideologia militare. La pellicola conquista il Leone d’oro a Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere (1959) di Roberto Rossellini. 


Per vedere alcune sequenze de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli:

Nessun commento:

Posta un commento