giovedì 6 ottobre 2011

Breve Storia del Cinema Italiano - 12

Dodicesima Puntata - Michelangelo Antonioni 


Michelangelo Antonioni (1912 - 2007) è un maestro del cinema italiano, difficilmente inquadrabile in un genere ben definito e in una corrente. Antonioni comincia come critico, sceneggiatore, aiuto regista e si avvicina al neorealismo con i primi documentari (Gente del Po -1943, N.U., Superstizione e Amorosa menzogna - 1948 - 49).


Debutta come regista in Cronaca di un amore (1950), pellicola che racconta la vita borghese e segna la fine del neorealismo per dare vita a una nuova stagione del cinema italiano. Troviamo una moglie di un ricco industriale che progetta di uccidere il marito con la complicità di un vecchio amante. Un film giallo, interpretato dalla debuttante Lucia Bosé e da un ottimo Massimo Girotti, che serve al regista per raccontare la crisi della borghesia con molti riferimenti psicologici e grande attenzione alla realtà sociale. Cronaca di un amore come intreccio ricorda Ossessione e forse Antonioni vuole debuttare con una sorta di omaggio a un maestro come Visconti. La trama gialla è solo un pretesto, l’inchiesta serve per creare la sostanza narrativa, perché al regista interessano soltanto gli aspetti psicologici e il disagio esistenziale. Antonioni rompe con il neorealismo e inaugura un cinema lento, riflessivo, con scene dilatate realizzate grazie a lunghi piani sequenza. La pellicola presenta un inedito discorso di classe e punta il dito su una borghesia vuota e ipocrita che si comporta come se niente fosse cambiato dopo la fine della guerra.


Antonioni è regista introspettivo che indaga i sentimenti umani, la violenza inspiegabile e le dinamiche che regolano i comportamenti, come vediamo ne I vinti (1952), pellicola in tre episodi ambientata a Parigi, Roma e Londra. Si tratta di un film ispirato a fatti di cronaca nera, girato come un’inchiesta sul vuoto esistenziale della gioventù post - bellica. Inutile dire che la censura del tempo massacrò la pellicola e la fece uscire tagliata in più parti, anche se adesso è disponibile un’edizione integrale in dvd. I vinti è un film duro da digerire per il periodo storico, non si nasconde di fronte alla realtà, racconta un omicidio compiuto per noia, la morte di un giovane contrabbandiere e la storia di un aspirante poeta che uccide una prostituta per diventare famoso.


La signora senza camelie (1953) è un ritratto critico del mondo cinematografico, raccontato dal regista come un ambiente avido e opportunista. Lucia Bosé è una commessa che vince un concorso di bellezza, sposa un produttore e diventa attrice, ma le vengono proposte soltanto parti mediocri. Un film sulla caduta dei sogni di fronte alla concretezza di chi investe nella macchina produttiva e sostiene che pagano solo sesso, politica e religione.


Le amiche (1955) rappresenta uno studio innovativo sulla psicologia femminile che adatta liberamente il racconto Tra donne sole di Cesare Pavese, pubblicato nella raccolta La bella estate. Antonioni non fa cinema consolatorio, mette a nudo tutti i difetti del mondo borghese, gira un finale duro e scava nelle psicologie dei personaggi. 

Alida Valli ne Il grido

Il grido (1957) è la storia del viaggio di un operaio disperato per essere stato abbandonato dall’amante, ma il suo lungo peregrinare termina con il suicidio. Un film ricco di simboli per trasmettere il dramma di un uomo semplice, un proletario in crisi contaminato dal male oscuro dell’angoscia (Fofi). Il grido racconta la storia di un operaio che perde la sua ragione di vita e la fiducia nel prossimo, ma soprattutto è un film disperato e nichilista.

Monica Vitti, attrice drammatica ne L'avventura

Antonioni è un regista importante per il tema dell’incomunicabilità che sviluppa ne L’avventura (1960), La notte (1960) e L’eclisse (1962), film apprezzati dalla critica, premiati a Berlino e a Cannes. In questi lavori Antonioni rappresenta il vuoto assoluto della borghesia, descrive personaggi annoiati che non riescono a comunicare, immobilizzati in una crisi senza via di scampo. Il cinema di Antonioni racconta con la tecnica del piano sequenza, dilata i tempi della narrazione, abusa di tempi morti e lascia finali aperti. Le sue pellicole sono veri e propri lavori di introspezione psicologica sul tema dei rapporti umani e compiono un’analisi tormentata sul disagio di esistere.


Deserto rosso (1964) è il suo primo film a colori, ma il mezzo tecnico non è usato in funzione naturalistica e la protagonista del film è ancora una donna in crisi. Antonioni presenta la vita come un gioco inutile, calca la mano sull’alienazione dell’uomo contemporaneo. Sono i grandi temi di un regista che non vuole fare cinema consolatorio, ma pretende di analizzare la realtà con occhio lucido e distaccato. Monica Vitti diventa l’attrice simbolo di questo cinema che racconta la difficoltà a comunicare, composto da lunghi silenzi e gesti inutili, ma anche Marcello Mastroianni, Alain Delon e Gabriele Ferzetti sono ottime figure di borghesi annoiati.


Il cinema di Antonioni conferma la poetica della solitudine con Blow up (1966), seguito da Zabrinskie Point (1970). Blow up è un film sulla vacuità delle apparenze, tratto dal racconto La bava del diavolo di Julio Cortazár, racconta la storia di un fotografo di moda convinto di aver immortalato per caso un omicidio. Tonino Guerra sceneggia una riflessione sull’impossibilità del cinema di dire il vero, sui difficili rapporti tra arte e realtà, tra ciò che si vede e quel che si comprende. Resta nell’immaginario collettivo la sequenza di una partita a tennis mimata senza pallina, ma il passare degli anni non gioca a vantaggio di una pellicola irrimediabilmente datata.

Michelangelo Antonioni, da vecchio

Zabrinskie Point, girato come Blow up con capitali esteri, è un film con ambizioni sociali ambientato negli anni della contestazione giovanile statunitense. Non sono temi molto adatti ad Antonioni che cerca di restare al passo con i tempi ma non è un buon interprete della contestazione giovanile. Tonino Guerra sceneggia la pellicola, la musica è dei Pink Floyd, molte scene restano nell’immaginario collettivo giovanile, ma non è uno dei suoi film memorabili.

Nicholson e la Schneider in Professione: reporter

Professione: reporter (1975) è un giallo atipico costruito sulla critica alla modernità e interessato soprattutto alla distruzione delle esistenze dei vari personaggi. Emblematico il giornalista che decide di assumere l’identità di un uomo morto, simbolo della crisi dei tempi. Piani sequenza e immagini simboliche sono presenti per tutto il film che si propone di far capire come la realtà sia impenetrabile. Luciano Tovoli fotografa da maestro uno dei film più riusciti di Antonioni, anche se resta la pecca dei dialoghi e di una sceneggiatura non eccezionale. Tra gli attori spiccano Jack Nicholson e Maria Schneider. Il mistero di Oberwald (1980) è un film sperimentale realizzato in alta definizione per intervenire elettronicamente sul colore, ma non si può citare tra i capolavori del regista.

Tomas Milian interpreta Identificazione di una donna

 Identificazione di una donna (1982) riporta Antonioni verso le psicologie femminili a lui care e segna l’incontro con un attore interessante come Tomas Milian. Tra l’altro si tratta dell’ultimo film di Michelangelo Antonioni prima della malattia ed è un lavoro che lascia spazio a emozioni, comportamenti fisici e parole. La sceneggiatura è di Tonino Guerra e Gérard Brach, la fotografia (stupenda) di Carlo Di Palma, le scenografie sono di Andrea Crisanti e le musiche di John Fox. Tomas Milian è Niccolò, un regista alla ricerca di un personaggio femminile e di una storia da raccontare nel suo prossimo film. Il regista incontra prima l’aristocratica e misteriosa Mavi (Silverio) poi la borghese Ida (Boisson), si innamora di entrambe, ma esce sconfitto dai due rapporti. L’uomo cade vittima di una crisi esistenziale causata di volta in volta dal conflitto di sentimenti, dalla differenza di età, di classe e di educazione. Il regista alla fine decide di cambiare soggetto al film e visto che non è capace di capire la natura umana racconterà i misteri del sole. Il film descrive bene il vuoto che c’è intorno a noi facendo ricorso a simboli come la festa, dove regnano noia e disagio tra invitati che sembrano zombi, ma anche il cascinale costruito sul vuoto. Il film viene presentato a Cannes e fa vincere ad Antonioni la Palma d’Oro alla carriera. Tomas Milian dimostra di essere un ottimo attore drammatico, utilizzato in maniera riduttiva da un sistema cinematografico che gli offre solo parti western e da poliziotto coatto.


Il regista torna dietro la macchina da presa dopo una lunga malattia con Al di là delle nuvole (1995), realizzato insieme a Wim Wenders. La pellicola si compone di quattro episodi e presenta una sceneggiatura poetica di Tonino Guerra, ma eccessivamente didascalica. Antonioni porta in scena la sua ossessione e la ricerca della vera immagine della realtà assoluta.

Luisa Ranieri interprete de Il filo pericolose delle cose

L’ultimo film di Antonioni è Il filo pericoloso delle cose, episodio del film collettivo Eros (2002), ma non è un capolavoro, nonostante la sceneggiatura di Tonino Guerra siamo lontani anni luce dalla vera poetica del regista. Antonioni muore a Roma nel 2007, lascia il segno come innovatore del cinema italiano e si ricorda per una visione pessimista che finisce per rifiutare la realtà circostante. I personaggi di Antonioni sono uomini alienati della società contemporanea che non riescono a comunicare emozioni.

 Ferzetti e Vitti interpreti di un film simbolo come L'avventura

Per vedere il trailer e alcune scene de L'avventura: http://www.youtube.com/watch?v=IufO2Mb8p8s

Gordiano Lupi

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