domenica 16 ottobre 2011

Breve Storia del cinema italiano - 13

Tredicesima Puntata
Francesco Rosi


Francesco Rosi (1922) non si discosta dal percorso compiuto da altri registi italiani e comincia dal neorealismo come aiuto regista di Visconti (La terra trema, Bellissima), prosegue lavorando con Antonioni, Monicelli, Zampa ed Emmer. La sua prima regia è Camicie rosse (Anita Garibaldi) (1953), un film sulla vita di Garibaldi interpretato da Raf Vallone e Anna Magnani, cominciato da Goffredo Alessandrini, che abbandona il set per contrasti con la protagonista e lo consegna nelle mani del debuttante Rosi. La sceneggiatura è firmata anche da Enzo Biagi; non si tratta della solita agiografia dell’eroe dei due mondi, ma non è un lavoro completamente riuscito. Il primo vero film dove si notano le caratteristiche di un autore importante è La sfida (1958), prodotto da Franco Cristaldi. Rosi miscela sapientemente la lezione del neorealismo con il noir americano e l’attenzione ai fatti di cronaca, il tutto filmato con grande stile e attenzione ai particolari. La sfida è ambientato nei mercati ortofrutticoli di Napoli, mentre I magliari (1958) racconta una storia di venditori di stoffe ai limiti della legalità, ma i temi sono identici.


Siamo all’interno di una struttura realista che pesca a piene mani dalla cronaca nera e la trama segue la lotta tra boss di un’organizzazione malavitosa. La presenza di Alberto Sordi nei panni di un truffatore porta il film sul lato comico e ne stempera aspetti troppo letterari.


Francesco Rosi è il regista del dato di cronaca, soprattutto fa cinema politico che lascia traccia indelebile in due capolavori come Salvatore Giuliano (1961) e Le mani sulla città (1963). Salvatore Giuliano è un efficace reportage costruito con materiale di repertorio per raccontare la vita del bandito Giuliano, da comandante dell’esercito separatista a uomo dei grandi proprietari terrieri mafiosi. Rosi utilizza il flashback per fondere finzione e realtà, realizzando un’opera intensa e fondamentale per comprendere l’affermazione della mafia in Sicilia. La pellicola affronta temi importanti e misteri di Stato come la strage di Portella della Ginestra, racconta la vita del bandito Giuliano senza concedere niente al mito e ha il merito di favorire la nascita della Commissione nazionale d’inchiesta sulla mafia.  Le mani sulla città si presenta bene con la didascalia dei flani: “I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce”. Rosi racconta le peripezie illecite di un uomo politico trasformista che sogna grandi speculazioni e non si arresta davanti a nessun ostacolo pur di fare i propri interessi. Il regista vince il Leone d’Oro a Venezia con un film coraggioso che denuncia scandali e corruzione durante gli anni della ricostruzione e del boom economico. In una pellicola come questa si sente la lezione neorealista che porta a un chiaro impegno politico per denunciare l’Italia del malaffare.


Non meno importante è Uomini contro (1971), tratto da Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu, che racconta senza retorica la prima guerra mondiale, analizzandola come contrasto di classe tra ufficiali e soldati. Un film pacifista che smitizza la grande guerra e fa capire quanti inutili massacri sono stati compiuti per la gloria di folli generali. Il romanzo di Lussu era molto più profondo e ampio della pellicola, perché rifletteva sull’interventismo e soprattutto sulle condizioni di vita del mondo contadino. Il cinema possiede un altro linguaggio e gli sceneggiatori Tonino Guerra e Raffaele La Capria devono scegliere di puntare su immagini forti per condannare le guerre. Rosi si conferma regista politico che utilizza lo schema documentaristico tipico del reportage ne Il caso Mattei (1972), dove finzione e realtà si uniscono per raccontare la morte misteriosa di un personaggio contraddittorio come il presidente dell’Eni. La pellicola è importante perché affronta per la prima volta il tema della connessione tra potere politico e trame destabilizzanti che caratterizzano il dopoguerra italiano. Gian Maria Volonté presta il suo volto a un’operazione riuscita che mette a confronto le varie ipotesi ricorrendo a interviste, filmati d’epoca e ricostruzioni storiche. Il film vince la Palma d’oro a Cannes, ex aequo con La classe operaia va in Paradiso di Elio Petri. Gian Maria Volonté diventa attore simbolo del cinema impegnato politicamente e segue Francesco Rosi nel successivo Lucky Luciano (1975), ricostruzione semidocumentaristica di vita e carriera criminale di un boss italo americano che si porta si porta nella tomba molti segreti. Rosi non conferisce aloni romantici a un personaggio spietato, ma si sforza di chiarire e documentare il fenomeno mafioso attraverso lo strumento del cinema di denuncia.


Cadaveri eccellenti (1976) rappresenta la sua opera più compiuta come apologo sulla corruzione del potere e si avvale di un soggetto tratto da Il contesto di Leonardo Sciascia. Rosi racconta un’indagine sull’omicidio di tre magistrati nell’Italia del sud che fa scoprire un complotto eversivo e porta alla successiva eliminazione di uno scomodo commissario di polizia insieme al segretario del partito comunista. Il messaggio non è tranquillizzante perché i superiori del commissario lo fanno passare per mitomane e i cadaveri eccellenti non servono a niente. Le persone che sanno la verità non parlano anche per paura che i comunisti possano andare al potere. La pellicola è sceneggiata da Tonino Guerra e Lido Jannuzzi come un giallo dal ritmo serrato, ma attinge a piene mani da materiale documentaristico su attentati, strategie terroristiche e depistaggi politici. Francesco Rosi si conferma autore interessante e soprattutto grande conoscitore della storia contemporanea che sa divulgare senza rinunciare a mettere in evidenza i lati oscuri. I film successivi non sono all’altezza delle opere realizzate negli anni Sessanta - Settanta, ma spesso si ispirano a opere letterarie per compiere un discorso sociale attento e preciso. Cristo si è fermato a Eboli (1979) è tratto dal romanzo di Carlo Levi e racconta la vita di un intellettuale antifascista (interpretato da Gian Maria Volonté) condannato al confino in un paese della Lucania.


La tregua (1997) è tratto da un romanzo di Primo Levi (autore del capolavoro Se questo è un uomo) e racconta le vicissitudini durante il ritorno a casa dal campo di concentramento di Auschwitz da parte di un gruppo di deportati italiani.


Tre fratelli (1981), ispirato al racconto Il terzo figlio di Andrei Platonov, indaga sugli anni di piombo ma è soprattutto un film sulla memoria e compie una sofferta riflessione sulla fine della società contadina. Altre opere di Rosi sono Carmen (1984), fedele trasposizione cinematografica dell’opera di Bizet, e Cronaca di una morte annunciata (1987) dal romanzo di Gabriel Garcia Márquez.
Nello stesso periodo altri registi affrontano tematiche politico - sociali e compiono analisi storiche di avvenimenti cruciali. Citiamo Gillo Pontecorvo (La battaglia di Algeri), Carlo Lizzani (Mussolini: ultimo atto), Florestano Vancini (Bronte e Delitto Matteotti), Giulio Montalto (Sacco e Vanzetti), Ermanno Olmi (E venne un uomo - Giovanni XXIII) e Lino Del Fra (Antonio Gramsci).


Francesco Rosi gira altre cose meno importanti nell’ultimo periodo di attività: un episodio del documentario 12 registi per 12 città (1989), Dimenticare Palermo (1990) interpretato da James Belushi, Mimi Rogers, Vittorio Gassman e Giancarlo Giannini e Diario napoletano (1992). Nel 2003 torna alla regia teatrale (Napoli Milionaria), nel 2008 gli viene assegnato l’Orso d’Oro alla carriera al Festival di Berlino, nel 2009 la Legione d’Onore e nel 2010 l’Alabarda d’oro alla carriera. Vive a Roma in un appartamento vicino a Piazza di Spagna. 

Per vedere Le mani sulla città: http://www.youtube.com/watch?v=DHk-CRPjmqo

Gordiano Lupi

Nessun commento:

Posta un commento