sabato 12 ottobre 2013

Una sconfinata giovinezza (2010)




di Pupi Avati



Regia: Pupi Avati. Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati. Fotografia: Pasquale Rachini. Montaggio: Amedeo Salfa. Scenografia: Giuliano Pannuti. Costumi: Maria Fasari, Stefania Consaga. Musiche: Riz Ortolani. Produttore: Antonio Avati. Casa di Produzione. Duea Film con la collaborazione di Rai Cinema. Distribuzione: 01 Distribution. Durata. 98’. Genere: Drammatico. Interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri, Serena Grandi, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Manuela Morabito, Erika Blanc, Isabelle Adriani, Vincenzo Crocitti, Damiano Russo, Osvaldo Ruggieri, Brian Fenzi, Marcello Caroli, Adriano Salerni, Riccardo Lucchese, Lucia Gruppioni.




Pupi Avati si conferma autore poliedrico con un film intenso che affronta il tema delicato e cinematograficamente inedito del morbo di Alzheimer, narrando una storia d’amore, mixata con ricordi adolescenziali. Vediamo la trama.



Lino (Bentivoglio) è un giornalista sportivo sposato con Francesca, docente universitaria di letteratura italiana e figlia d’una famiglia borghese. Sono un coppia affiatata, anche se ad allietare la loro vita manca un figlio e nonostante la famiglia della moglie non abbia un buon rapporto con il marito. I problemi arrivano quando Lino comincia ad accusare gli effetti del morbo di Alzheimer, in un primo tempo la moglie lo fa curare, nasconde la verità, studia i suoi comportamenti, ma alla fine giunge il crollo inevitabile. Francesca prima abbandona Lino nelle mani di due infermiere, poi, vinta dal rimorso e dall’amore, decide di vivere con lui e di assecondare le sue manie fanciullesche. Lino diventa per lei quel bambino che non ha mai avuto, gli racconta le fiabe, giocano insieme a correre un fantomatico giro d’Italia con i tappi della sua infanzia, quando incollava nella corono le figure dei ciclisti. 


Un giorno accade l’irreparabile: Francesca subisce un incidente stradale e viene ricoverata d’urgenza in ospedale, in gravissime condizioni. Lino sale in treno, poi in taxi e raggiunge il paese della sua infanzia dove cerca un vecchio amico che da bambino aveva fatto credere di poter resuscitare i morti. Lino troverà solo il fratello del suo amico, malato come lui, mentre l’altro è morto da alcuni anni. Finirà per perdersi nei boschi, alla ricerca del cane che aveva da bambino, morto da tempo, ma lui non può accettarlo perché lo riteneva immortale. 


Una bella storia, ben costruita, dotata di una solita sceneggiatura, mixata a dovere tra tempo presente e ricordi del passato, a base di intensi flashback dotati d’una fotografia anticata, color seppia. La musica sinfonica di Riz Ortolani, una suggestiva partitura al piano, accompagna un film narrato con tono dolceamaro, dimesso, spesso angosciante, ma mai patetico. 


Avati affronta il tema della malattia senza pietismi inutili, descrive con competenza (aiutato da Paolo Crepet e da diversi esperti medici) la degenerazione della mente umana, devastata da un morbo che non permette di restare in sintonia con la realtà. Lino ricorda tutto dell’infanzia, vive una sconfinata giovinezza, ripensando alla morte dei genitori, al cane Perché, alla vita con gli zii nel vecchio casolare, agli amici, alle prime esperienze erotiche, al suo gioco preferito che consisteva nel correre un finto giro d’Italia con i volti dei ciclisti incollati nei tappini. 


La parte migliore del film è quella intrisa di autobiografia, dove si riconosce lo stile Avati che racconta gli anni Cinquanta e Sessanta della campagna bolognese con grande maestria e ottima ricostruzione d’epoca. La storia d’amore è perfetta, la donna resta al fianco del suo uomo, nonostante tutto, si comporta da madre, modifica il suo sentimento ma non riesce ad abbandonarlo. L’uomo va incontro alla morte per un impossibile desiderio di far resuscitare la moglie dopo un tragico incidente. La scenografia è stupenda, soprattutto nella parte ambientata nelle colline bolognesi ai tempi della giovinezza del protagonista, ma anche il resto del film - girato a Roma - gode di ottimi costumi e ricercati arredamenti d’interni.  

 
Pupi Avati è regista straordinario e poetico, capace di passare con estrema facilità dal registro fantastico a quello minimalista, padrone assoluto della macchina da presa che utilizza con avvolgente lirismo ed estrema sensualità. Il suo cinema proustiano, alla ricerca del tempo perduto, riveste un fascino unico nel desolante panorama del cinema italiano contemporaneo. 


Gli attori sono straordinari e vengono guidati con grande mestiere. Fabrizio Bentivoglio rappresenta in maniera più che credibile la maschera di un uomo devastato da una tremenda malattia neurologica. Francesca Neri è bravissima come moglie innamorata che cura il suo amore come un bambino e accetta con coraggio un destino difficile. Vincenzo Crocitti è alla sua ultima interpretazione, in un piccolo ruolo da prete, perché morirà prima dell’uscita nelle sale del film. I segni della malattia sono evidenti nella sua maschera dolente. Gianni Cavina è un laido tassista approfittatore. Serena Grandi è ben calata nella parte della vecchia zia di Lino. Rivediamo anche Lino Capolicchio, attore feticcio di Avati, sin dai tempi de La casa dalle finestre che ridono (1976).



Una sconfinata giovinezza è stato escluso dalla 67° Mostra Cinematografica di Venezia, distribuito nelle sale alla fine del 2011, ha incassati circa un milione di euro. Due candidature ai Nastri d’argento per il miglior soggetto e la miglior scenografia. Nastro d’argento speciale a Pupi Avati con questa motivazione: “per la sua sconfinata giovinezza cinematografica e soprattutto per un film che affronta con delicatezza e straordinaria intensità un tema personale e sociale importante, cinematograficamente inedito”. Premio Dante Ferretti al Bari International Film Festival allo scenografo Giuliano pennati e Premio Piero Tosi per il miglior costumista a Stefania Consagra e Maria Fassari. Una sola certezza: Pupi Avati non delude mai. Rai Tre ha programmato il film venerdì 11 ottobre 2013, in una giornata piena zeppa di calcio internazionale, ma chi ha scelto di rivederlo non ha sbagliato. 


Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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