sabato 25 gennaio 2014

La strada (1954)


di Federico Fellini
 

I primi film di Fellini sono atipici per il periodo storico. Fellini è un ideologo del movimento neorealista, autore di molti soggetti, sceneggiature dialettali (Campo de’ fiori) e grande collaboratore di Rossellini, ma come regista evade dal solco neorealista. La sua cifra stilistica tiene conto del realismo, ma lo modifica con gli strumenti del fantastico, della fiaba, del ricordo che si fa rimpianto e bozzetto nostalgico. In questo senso è importante La strada (1954), una favola commovente girata sullo sfondo delle periferie romane, sul lungomare di Ostia, ma pure in mezzo alla neve dell’Appennino. Giulietta Masina è la dolce e ingenua Gelsomina, una ragazza venduta dalla madre all’attore girovago Zampanò (Anthony Quinn). Il rapporto tra la donna e il rozzo datore di lavoro comincia in modo rude, ma poi si modifica in una sorta di affetto a senso unico. Gelsomina sembra un’ingenua donna innamorata che tenta di cambiare Zampanò, indossa una buffa maschera da clown e sfoggia espressioni che ricordano la mimica di Charlie Chaplin e di Stan Laurel. Zampanò non può cambiare, la sua indole è quella del violento uomo di strada che si ubriaca e frequenta prostitute. 
 

Gelsomina conosce un bislacco equilibrista che si fa chiamare Il Matto (Richard Basehart) e in poche scene il regista sottolinea il contrasto tra follia e ingenuità. Gli occhi spauriti di Gelsomina incontrano lo sguardo furbo e divertito del Matto, che prende in giro tutti, anche se il bersaglio preferito resta Zampanò. Fellini inserisce una parentesi sul mondo del circo, presentando un gruppo di girovaghi che si esibisce sotto uno scalcinato tendone. Un bel ricordo del circo d’una volta è rappresentato dal numero con la tromba, provato da Gelsomina in compagnia del Matto. I protagonisti della storia sono dei simboli: Gelsomina (il sentimento e l’ingenua dolcezza), Zampanò (la forza bruta, la violenza, la bestialità) e Il Matto (la follia che diventa saggezza). Zampanò intrattiene il pubblico con il numero delle catene aperte con la forza dei muscoli pettorali e con la gag dell’ignorante che pronuncia ciufile invece di fucile
 

Gelsomina è una mite assistente innamorata, ma il rozzo padrone la trattata come un animale, frustandola quando non pronuncia bene il suo nome, intimando ordini secchi e perentori. Il Matto è un equilibrista da circo che si esibisce a quaranta metri di altezza, parla con un buffo accento toscano, prende in giro Zampanò, ma è gentile con Gelsomina. La fantasia di Gelsomina incontra la follia del Matto, che la spinge a non lasciare Zampanò, perché sotto la sua rude scorza potrebbe battere un cuore capace di sentimenti. “Forse ti vuol bene. E poi se non ci stai tu con lui chi ci sta? Tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa…”, dice Il Matto. Gelsomina si convince che Zampanò potrebbe volerle un po’ di bene, anche se pare incapace di provare sentimenti, o forse non li sa esprimere. La tragedia si compie quando Zampanò ritrova Il Matto, lo colpisce con un violento pugno e lo uccide facendogli battere la testa nello spigolo dell’auto. Zampanò si libera del corpo e mette in scena un finto incidente. 
 

Gelsomina impazzisce: la sua ingenuità non resiste davanti alla cruda realtà e comincia a balbettare che “Il Matto sta male”. Gelsomina non mangia, non riesce a lavorare, piange e si lascia deperire. Zampanò cerca di scusarsi: “Non volevo ammazzarlo”. Gelsomina è in preda alla follia: “Voi l’avete ammazzato. Io volevo scappare. Me l’ha detto lui di restare con voi”. Zampanò fugge durante la notte, abbandonando la ragazza al suo destino con un po’ di soldi in tasca, sotto una montagna, ma vicino a un piccolo paese. Passano gli anni, Zampanò entra a far parte di un circo, un giorno si ferma proprio nel paese dove abbandonò la sua assistente e viene a sapere che Gelsomina è morta. Il finale è drammatico e commovente, ma soprattutto intriso di una stupenda poesia che rappresenta la cifra stilistica di Fellini. La bestia scoppia a piangere in riva al mare e comprende di aver perso la sola persona importante della sua vita. La macchina da presa inquadra un volto rigato di pianto e le mani che si spingono sulla spiaggia a stringere granelli di sabbia che scivolano tra le dita.   


Anthony Quinn presta un volto truce per la caratterizzazione del forzuto Zampanò, mentre Giulietta Masina è l’attrice simbolo di Fellini per questo tipo di interpretazioni. Nino Rota compone una strabiliante colonna sonora, forse la migliore della sua carriera, per caratterizzare una pellicola dolce e commovente. Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano collaborano alla sceneggiatura, ma il soggetto è del regista che descrive il suo mondo interiore intriso di sentimento. Fellini realizza un’opera poetica che vince l’Oscar come miglior film straniero e il Leone d’Argento a Venezia.  
 

Molti critici affermano che La strada sarebbe un film sopravvalutato, perché caratterizzato da una poetica miserabilista e patetica che suona un po’ facile (Mereghetti). Non possiamo concordare, perché la storia è originale e commovente, interpretata da attori ben calati nei personaggi e simbolica al punto giusto. La strada è uno dei film più teneri e poetici di Fellini, che immortala la storia di due artisti girovaghi in viaggio attraverso la povera Italia degli anni Cinquanta. Il regista pone l’accento sul rapporto psicologico che lega i personaggi, soprattutto sul legame di riconoscenza e sottomissione tra Gelsomina e Zampanò. Un film come La strada è una svolta radicale nei confronti del neorealismo e definisce i tratti essenziali della poetica di Fellini. Il regista cita questa pellicola come uno dei suoi film più autobiografici, ma non è dato sapere quanto sia vero, vista la sua fama di simpatico bugiardo. Il regista in alcune interviste sostiene che Zampanò sarebbe “un uomo conosciuto al circo quando avevo quindici anni”, in altre “un castraporci che calava ogni tanto su Gambettola, dove aveva casa mia nonna Franceschina e dove io passavo le vacanze, una specie di uomo nero con una parannanza piena di sangue che terrorizzava le donne e di cui le bestie per alcuni giorni presentivano l’arrivo lanciando grida altissime”. Non basta. Altre interviste parlano di un uomo incontrato dalle parti di Viterbo, mentre Giulietta Masina ha sostenuto che la storia è nata intorno alle suggestioni suggerite al marito dalla sua maschera da clown. 


 Tratto dal mio libro FEDERICO FELLINI (Mediane) 

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

1 commento:

  1. questo film figura tra le mie grandi lacune cinematografiche, vedrò di recuperarlo...

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